Sabato 3 Luglio 2004 si è tenuta la cerimonia di consegna del

Premio Feronia - Città di Fiano, in tale ambito è stato consegnato il

Premio Fondazione Piazzolla

alla memoria di

Massimo Ferretti

Paola Pitagora ha presentato la serata

Velio Carratoni, presidente della Fondazione Piazzolla

Consegna del

Premio Fondazione Piazzolla

Massimo Raffaeli

mentre rievoca Massimo Ferretti

La Giuria del Premio Feronia

XIII Premio Letterario "Feronia – Città di Fiano 2004"

la Fondazione Marino Piazzolla

Conferisce all’opera e alla figura di

Massimo Ferretti

riconoscimento per i suoi versi e romanzi.

Segnato dalla malattia e da una bruciante vicenda esistenziale, ha saputo

tradurre con grande originalità l’inquietudine della letteratura anni Sessanta,

con una scrittura che testimonia come nella sperimentazione possano

combinarsi, avanguardia e stile beat, gioco e perfetta serietà, ardore e tenerezza

PREMIO FONDAZIONE PIAZZOLLA

Massimo Ferretti

intervento di Massimo Raffaeli

Un antico luogo comune (falso e insieme fondato, come tutti i luoghi comuni) asserisce che la neoavanguardia sa dettare le poetiche ma non sa scrivere le poesie.
A seconda dei punti di vista, l'opera di un outsider quale Massimo Ferretti costituisce l'eccezione o la smentita di quel vecchio proverbio. Attivo fra il '56, quando esordisce su "Officina", ed il '65, quando pubblica il secondo e ultimo romanzo (prima di entrare nella clandesti­nità di un silenzio definitivo), egli rappresenta al meglio, fuori quadro e fuori via, il decennio fervidissimo che porta prima il nome dello speri­mentalismo e poi quello dell'avanguardia.
Breve e bruciante la sua biografia: Ferretti nasce a Chiaravalle di Ancona nel '35 ed è presto segnato da una grave forma di endocardite reumatica; autodidatta, a vent'anni entra in contatto con Pier Paolo Pasolini che lo fa pubblicare; dopo qualche tempo si distacca dal suo giovane maestro, entra nel Gruppo 63 e fugge dalla provincia, tentan­do inutilmente la fortuna a Roma: ci vivrà traducendo libri di antro­pologia e psicologia e ci morirà, a soli trentanove anni, nel novembre del '74.
La sua opera è racchiusa in tre libri che escono in meno di tre anni, fra il '63 e il '65.
Il primo, Rodrigo (Garzanti 1963, poi Sestante 1993) porta nel titolo il protagonista della Casa Usher di Poe ed è, nella forma del Bildungsroman la storia di un suicida, anzi la programmatica liquida­zione del suo ambiente e di tutte quante le "idee ricevute"; il secondo, // gazzarra (Feltrinelli 1965, poi Ponte alle Grazie 1992), è un libro che si direbbe situazionista, o in anticipo sulle derive picaresche degli indiani metropolitani, dove il narratore, o meglio l'antinarratore, fa saltare ad ogni suo livello l'ultima istituzione sopravvissutagli, cioè la lingua: ignorato dal pubblico, rimosso dalla critica, Il gazzarra rimane tuttavia, quanto alla prosa, il frutto estremo e clandestinamente lumi­noso della neoavanguardia italiana.
Ma è con Allergia (Garzanti 1963, Premio Viareggio "Opera Prima", poi Marcos y Marcos 1994) che i tratti fisiognomici del poeta marchi­giano si fissano con indelebile originalità. Posto che il titolo della rac­colta costituisce l'anagramma del Libro novecentesco per antonomasia (l'Allegria di Giuseppe Ungaretti), vi si squadernano tutte quante le idiosincrasie dell'esserci di allora (l'Italia del boom economico, di una frettolosa e per certi aspetti rovinosa modernizzazione) e vi si assom­mano al completo toni e timbri dello sperimentalismo poetico (il fram­mento lirico, il racconto in versi, l'epopea, la filastrocca) alternando a piacere confessione e parodia, Grande Stile e non-senso, ardore e tenerezza.
Come in questa poesia, malinconica e beat, che voglio leggere alla maniera di un omaggio, e di un ringraziamento a tutti voi:

In trattoria

In questa trattoria di gente stanca
Dove mangiare significa reagire,
dove la grazia di una dattilografa
si percepisce nel tono delicato
d'un piatto di fagioli chiesto tiepido,
dove un viaggiatore analfabeta
emancipato per via dello stipendio
spiega a una turista anacoreta
che il rialzo dei biglietti ferroviari
dipende tutto da questioni atlantiche-
non ho ragione d'essere contento
se il cameriere lieto della mancia,
leggendo la commedia del mio viso
m'ha detto che ho una maschera da negro?

In questa trattoria di gente ottica
Dove non so salvarmi dagli sguardi, condannato al sentimento della morte,
serrato tra furore e timidezza-
non ho ragione di essere felice
quando divoro una bistecca che fa sangue?

Il mio complesso è una tragedia greca:
devo scrivere e vorrei ballare.

 

Qui di seguito riportiamo l'articolo apparso

sul quotidiano "il manifesto" del 2 Luglio 2004

 

Da Massimo Ferretti con timido furore

di Massimo Raffaeli

Che la Fondazione Piazzolla, all'interno di un premio pure selettivo quale il «Feronia-Citta di Fiano», abbia scelto quest'anno di ricordare l'opera di Massimo Ferretti e di per se una notizia.

Opera di Michele Cossyro, conferita alla memoria di Massimo Ferretti, nell'ambito del Premio Feronia 2004, sezione Fondazione Marino Piazzolla

Opera di Michele Cossyro,
conferita alla memoria di Massimo Ferretti,
nell'ambito del Premio Feronia 2004,
sezione Fondazione Marino Piazzolla

O meglio una notizia di quelle che fanno piacere e sorprendono anche e soprattutto chi non e indulgente con i premi letterari in genere. Rimosso dalle dinamiche di mercato (i suoi libri sono infatti introvabili), dimenticato o quasi dalla critica, Ferretti è in realta un esempio vistoso, proprio in quanto outsider, della letteratura di ricerca, cosiddetta sperimentale, che ha segnato la scena italiana fra gli anni Cinquanta e i Sessanta. Questo ragazzo a vita (nato a Chiaravalle di Ancona nel '35 e morto a Roma per insulto cardiaco nel novembre del 74) ha bruciato la sua parabola in meno di un decennio, fra il '56 e il '65, e ha firmato appena tre libri: una raccolta di poesie, Allergia (Garzanti 1963, poi Marcos y Marcos 1994), un romanzo di formazione, Rodrigo (Garzanti 1963, poi Sestante 1993) e un romanzo stavolta deliberatamente anti-romanzo (Il gazzarra, Feltrinelli 1965, poi Ponte alle Grazie 1992) che e coinciso con l'abiura letteraria e un silenzio davvero autopunitivo.
Vale ricordare che 1'ultimo decennio della vita Ferretti lo ha passato chiuso nel suo appartamento fra le magnolie di Montesacro a tradurre anonimi testi di psicologia e antropologia per la casa editrice Astrolabio, con 1'eccezione di un romanzo della Brooke-Rose, Tra (Feltrinelli, 1971), che in tutto doppiava la vicenda distruttiva e suicidaria iscritta nelle pagine volatili del Gazzarra: ostiche a chiunque e incommestibili persino agli amici della neoavanguardia.
Tutto per Massimo Ferretti comincia nei mesi dello sfollamento, quando ha nove anni e gli viene riscontrata una grave forma di endocardite reumatica: seguono letture voraci da autodidatta (Montale, Eliot, Rimbaud, dalla cui precocità deduce uno stemma), lunghe assenze da scuola, attriti con la famiglia borghese che vorrebbe fame un rispettabile professionista. Ferretti adolescente scrive con estro tellurico e nemmeno ventenne manda le sue prime plaquettes, edite a Jesi e alla macchia, a Pier Paolo Pasolini che gliele pubblica nel '56 su «Officina», la rivista bolognese redatta con Leonetti e Roversi, facendone il caso piu esemplare di speri­mentalismo, in quanto pagato in prima persona e biograficamente fondato, necessario. (In un epistolario di fuoco, emotivamente complesso, che costituisce ora il nucleo delle Lettere - Einaudi 1988 a cura di Nico Naldini - il grande poeta friulano ne parla per ossimori e metafore incendiarie, avallandone la precoce maturità, nonché la disperata vitalità che amava ascrivere, elettivamente, a se stesso). La dentro c'è gia tutto quanto il propellente di Allergia, un libro leggibile alla stregua di un diario e nello stesso tempo di un diagramma generazionale, con la vita da studente fuoricorso, 1'avventura e lo squallore delle camere ammobiliate, gli amori sbandati e fuorivia; e con la scoperta infine di Roma, dove Ferretti si trasferisce nel '61, scrive in una lettera, a cercare «pane e libertà». (Inutilmente: in effetti, sopravvive con sporadiche collaborazioni a «Paese Sera» e «Il Giorno», viene respinto per inidoneità fisica a un concorso Rai, tra i letterati vede solo alcuni coetanei, fra cui Bernardo Bertolucci ed Enzo Siciliano, il quale lo ricorderà nelle pagine di Campo de fiori, 1993).
Assortito con rigore ma anche con mano leggera e degna di un erede di Palazzeschi, lo sperimentalismo di Allergia non ha nulla di volontaristico. Estraneo sia al Grande Stile Secolare (niente è più lontano da Ferretti della parola solenne, sublimata) sia alla gelida chirurgia delle avanguardie storiche, il libro mantiene per se un tono ora corrivo e canagliesco, ora invece serissimo e «beat», alternando affondi autobiografici e spasmi emotivi, distonie urticanti e drammatiche complicity, insomma gli ardori e l'intatta tenerezza di un ventenne segnato dalla malattia ma non per questo riconciliato con il proprio mondo. C'e un componimento, in particolare, che ne tra­duce la poetica e ne rivela il tono sempre a mezzo tra la confessione amara e la declamazione autoparodistica; si intitola In trattoria: «In questa trattoria di gente stanca/ dove mangiare significa reagire,/ dove la grazia d'una dattilografa/ si percepisce nel tono delicato/ d'un piatto di fagioli chiesto tiepido,/ dove un viaggiatore analfabeta/ emancipato per via dello stipendio/ spiega a una turista anacoreta/ che il rialzo dei biglietti ferroviari/ dipende tutto da questioni atlantiche/ non ho ragione d'essere contento/ se il cameriere lieto della mancia, leggendo la commedia del mio viso/ m'ha detto che ho una maschera da negro?// In questa trattoria di gente ottica/ dove non so salvarmi dagli sguardi,/ condannato al sentimento della morte,/ serrato tra furore e timidezza/ non ho ragione d'essere felice/ quando divoro una bistecca che fa sangue?// Il mio complesso è una tragedia antica:/ devo scrivere e vorrei ballare.//»

E sul serio serrato tra furore e timidez­za (stando ai versi del suo acerbo Dasein) Ferretti nell'anno terribile che fu per tutti il 1963 attua una serie di liquidazioni: scrive Rodrigo, il medesimo nome di chi abitava la Casa Usher, storia di un suicida che fa strage, prima di compiere il gesto, della personale biografia, sfregiandone i luoghi, gli incontri, le occasioni; rompe con Pasolini e aderisce al Gruppo 63, o meglio si lega d'amicizia ad alcuni espo­nenti, fra cui Antonio Porta, Nanni Balestrini e Alfredo Giuliani; infine, prende a scrivere, e ne legge capitoli al convegno inaugurale di Palermo, Il gazzarra, un libro estremo, che non gli verrà perdonato e servirà a murarlo in un silenzio definitivo: sorta di collage pop, gioco di tessere musiche che alludono alla presenza volatile di ex personaggi situazionisti e di futuri indiani metropolitani, Il gazzarra riassume una fase di lungo periodo della ricerca nelle scienze umane, che vede nella pura pla­sticità linguistica la residua sensatezza, e l'ultimo luogo, della letteratura. Urtato, ma presago, Pasolini ne parla come al cospetto di una fatale deriva, definendo il libro un «oggetto scritto senza destinatario».
Nell'operare di Ferretti, residua tuttavia il meglio delle scienze umane dei suoi anni, specie la lezione di Lévi-Strauss, insieme a quella di Piaget, quando dicono che nel pensiero dei primitivi la parola non nasce per rispecchiare la realtà, bensì per simularla e/o sostituirla. E M'hai levato la parola di bocca esclama l'ultima voce del libro, nei modi di una clausola che prelude alla parola anonima, fungibile, totalmente espropriata, che sarà tipica di lì a pochi anni dei nuovi primitivi, gli scrittori postmoderni, di cui Ferretti - senza saperlo né volerlo - rappresenta la premonizione e, insieme, un possibile contravveleno.
Nel '65 non sembrò accorgersene alcuno, come pure nel '92 quando Ponte alla Grazie, ristampando Il gazzarra, non si accorse di avere omesso la composizione delle ultime tre pagine di quel non-romanzo così incendiario, anzi così refrattario alle parole d'ordine (presto tornate di senso comune) della trama esatta e dei personaggi costruiti come si deve. Ma si trattava di obbedienze da cui Massimo Ferretti si era volentieri, e da tempo, emancipato. Se adesso il premio della Fondazione Piazzolla servisse solo alla restituzione delle ultime tre pagine di quel testamento, avrebbe assolto degnamente il proprio compito.