Studi » Renato Civello: Sogno e realtà in Marino Piazzolla
da "IL SECOLO D'ITALIA" del 22 Nov. 1975
Si tratta di uno dei libri, sia detto senza preamboli, diventati sempre più rari in quest'ultimo cinquantennio di presunzioni paraintellettuali o lessicomani. che restituiscono fiducia nella poesia in quanto nata non dalle spoglie di un istinto irritato e solipsistico. né dal cultismo, ma da una autentica vita interiore che si dilata fino ad una commossa allegoria esistenziale. E' toccato in sorte a Piazzolla di essere un «solitario»; ed è questa una condizione che tutto sommato gli rende giustizia ove si rifletta fino a che punto la mediocrità oggi si sia pubblicizzata riempiendo di clamori il deserto della ignoranza e del cattivo gusto I poeti che non hanno vanificato il rapporto linguaggio-contenuti ed hanno legittimamente abbattuto le mura della loro torre d'avorio sono piccolissima schiera: esemplificherò, per restare qui a Roma, citando i primi che vengono in mente e senza ipotizzare latitudini di gerarchia, con Gatto, Accrocca, d'Asaro, Luisi e pochissimi altri.
Ora, indubbiamente la misura lirica di Marino Piazzolla sta non solo nella sincerità e nella nobiltà di avvertimenti che si proiettano sempre a filo di coscienza o scavano fondo tra le pieghe di una stupefatta innocenza, ma nella spontaneità di una decantazione formale che ha vivificato di umori contemporanei il flusso di canto della migliore tradizione; e l'urto emotivo che consegue alla lettura di un libro di versi come Lettere della sposa demente — e se ne potrebbero aggiungere tanti altri dello stesso Piazzolla, come Le favole di Dio, i Poemetti. Gli occhi di Orfeo. ecc. —, filtrato nella sospensione edonistica dell'accordo parola-immagine, è dei più alti e duraturi. Superfluo chiamare in causa Rimbaud ed Eluard: il gioco delle antecedenze e delle comparazioni è sempre molto opinabile specialmente quando sussista la convinzione, come quella espressa da Rene Méjean nella lucida premessa al volumetto. che Piazzolla sia «il lirismo fatto uomo».
Questo racconto lirico è, senza alcuna riserva. di una purezza sorprendente. Le mediazioni di un contrappunto linguistico programmato a freddo gli sono estranee, e parimenti le tensioni esasperate che finiscono snesso con l'identificarsi con una alchimia speculativa. L'animo del poeta vibra, senza tregua ma senza alterazioni deliranti, nella cadenza di una musica dolente, di una incantata elegia che ferma nel sogno le ferite del tempo.
Già l'avvìo, nel prologo, da la sensazione immediata di una poesia che. acclimata nella struttura più semplice e puntuale, è però tutt'altro che semplicistica e si rivela invece, sostanziandosi di verità, ricchissima di echi spirituali e di inquietanti scarnificazioni-. « In un villaggio delle Fiandre. - presso un giardino. - una donna girava per le stanze. - ferma in un'ora. - ormai fuori del tempo •. La storia di questa sposa dell'immaginazione, poi madre illusoria. che imbianca nella casa vuota, accanto alla figlia che non esiste e sfiorisce anche lei attendendo chi non tornerà mai, si svolge con una limpidità di dettato che oggi è davvero difficile trovare; nemmeno nei momenti più felici della stagione post-simbolistica. qui da noi espressa con un Saba, un Sinisgalli. un Montale, col già citato Gatto, con tutti coloro che alle intimarmi del sovrasenso preferiscono quelle della loro umana presenza. E ricorrono quasi ad ogni pagina tenerezze senza peso, bloccate tuttavia nel rigore di un contesto evocativo scevro di attributi: « Sfoglio un libro di fiabe. - Mi stupisce il bianco di una fata - e l'occhio di una gazzella, - sbucata da un ciuffo di foglie. - Ho voglia di dormire in un ruscello - che piove da una stella, dietro i vetri ». E più avanti, mentre i giorni, gli anni, rotolando sulla malinconia, non ancora uccidono la speranza: « Eccoti la prima lettera dell'anno. - lo sono ancora accanto alla finestra - Min figlia è già cresciuta; - è alta come un pesco ». All'improvviso, poi. qualche segreta lacerazione che Piazzolla traduce con una musica ignuda e accattivante: la donna sa di essere ormai « coi fili bianchi. - piovuti dalla luna fra i capelli. - Le vene sono apparse nelle mani - e anch'esse, quando è notte. - dicono addio e imparano a tremare. - Anche il mio sangue è tuo! ». Nell'isola lontana, intanto, le lettere destinate all'uomo-ombra si fanno certezza di dolore e di morte.
La poesia è riuscita, ancora una volta, ad immortalare il sogno. Marino Piazzolla, che manda a riposare per sempre la sua dolce creatura sulla collina, a conclusione di un ricamo prezioso che ha tutti i colori e i trasalimenti dell'essere, ci lascia con una nostalgia indefinibile. Ma anche con la consolazione di essere disposti, perché non confessarlo? ad attendere, fra tanto male, il nuovo giorno.
Renato Civello