Dal n° 211 della rivista Fermenti
Alberto Frattini
Io ho avuto il vantaggio di intervenire qui per terzo: e importante questa dizione della poesia di Piazzolla che ha fatto adesso Maestosi, il quale ha dato un'interpretazione eccellente. Devo dire che pareva, appunto, di entrare in questo spirito magico di Marino', e anche la scelta mi pare ottima, perché le poesie di Piazzolla sono molte ma alcune hanno delle caratteristiche tutte particolari. Comunque anche in quelle che abbiamo ascoltato ci si sente qualcosa di tipicamente suo, proprio di piazzolliano, e questa e un po' la caratteristica dei
poeti autentici.
lo sono ben lieto di essere qui per dare testimonianza a questo poeta che ho avuto il piacere di conoscere tantissimi anni fa. Per ragioni anagrafiche sono quello che lo conosceva da più tempo, perché io lo incontrai negli anni Cinquanta. Ho sentito l'inizio di questa lettura che ci riportava alle Elegie doriche che sono del 1952 ed io ricordo che il mio primo intervento, la mia prima recensione apparve proprio in quell'anno, nel '52, quando Marino (che, venuto a Roma, cominciava ad ambientarsi e a scrivere) aveva pubblicato questo primo libro. Questo libro ebbe indubbiamente notevoli consensi, anche se la sua era una voce discordante, una voce diversa. Basti pensare al titolo Elegie doriche: eravamo negli anni '50, il periodo in cui veniva su una poesia di segno diverso, una poesia di impegno, una poesia aperta al turbinoso incalzare dei fatti storici, una poesia anche, a volte, ricca di tensioni di segno populistico. Non sono poche le poesie di quel tempo che non si ricordano più, appunto perché avevano buone intenzioni ma non si concretarono in poesia autentica, quella che deve avere una sua trasparenza, una sua affilatezza, una sua capacità di entrare dentro l'uomo e la sua vita.
Credo che la caratteristica di Piazzolla sia quella di aver sempre seguito questa linea di autenticità. Le sue poesie nascono tutte, profondamente, dal vissuto; come è stato detto poco fa, la sua lirica e la sua poesia in generale, hanno diversi aspetti, diverse facce, sono poliedriche e su questo siamo d'accordo, ma perché? Appunto perché c'è una linea lirica e abbiamo ascoltato alcuni testi che rappresentano in maniera molto alta questa dimensione. C'è anche questa tensione al reale e ci sono persino, variamente sviluppate, altre tensioni di segno, per esempio, civile. C'è, insomma, il Piazzolla che segue anche le vicende della cultura, che poi diventa polemico nei confronti della cultura contemporanea, un Piazzolla non soddisfatto dai poeti, né dagli scrittori, né dai pensat6ri del suo tempo. E questo Piazzolla io ho avuto modo di conoscerlo più a fondo grazie a quest'opera, che ho qui davanti a me e sulla quale posso dire alcune brevi cose: uno degli autori, importante perché è stato colui che si èdedicato alla ricerca di testi ormai introvabili, è VeI io Carratoni che spiega nella breve introduzione al primo volume, le ragioni, i modi oltre che il destino di questo singolare scrittore e poeta, come fa, un po' più avanti il nostro amico Spagnoletti, presidente attuale della Fondazione Piazzolla.
Accettando l'incarico di fare l'introduzione a questo libro, ricordo che mi sono rituffato anch'io nello studio e nell'approfondimento di tutto Piazzolla ed è venuto fuori un Piazzolla che conoscevo anch'io meno bene, cioè il Piazzolla critico, studioso di letteratura italiana, lo scrittore che segue e interviene su scrittori e poeti del suo tempo, a volte coetanei, a volte poeti che vivevano anche a Roma, come ad esempio Cardarelli.
lo, a volte, frequentavo Cardarelli, proprio negli anni '50, quando Piazzolla interveniva in questa magnifica via di Roma che è Via Veneto, vicino a Porta Pinciana. Cardarelli si fermava davanti allo Strega e si tratteneva lì; a volte d'estate rimaneva fermo anche per delle ore sotto il sole con il cappotto, tanto che qualcuno diceva: che succede? Aveva uno strano male per cui aveva bisogno sempre di avere molto caldo e quindi anche d'estate teneva addosso il cappotto. Ed era lì che ci vedevamo insieme anche con Piazzolla e si conversava, si parlava, di solito Cardarelli era un po' scontroso, sebbene abbia avuto addirittura un periodo di sodalizio con Piazzolla che poi dopo si è interrotto. Carratoni sa bene queste vicende perché ha pubblicato alcuni interventi sulla sua rivista Fermenti.
Il merito di questo libro, di questa ricostruzione, direi, puntigliosa e quasi completa, anche se qualcosa è rimasto fuori, ovviamente, è quello di offrire un po' un "Tutto Piazzolla", si può dire, almeno nelle grandi linee, cioè il Piazzolla poeta, il Piazzolla prosatore, il Piazzolla critico, il Piazzolla anche francesista.
Io ho scritto, e naturalmente confermo questa mia impressione, che non si può parlare che impropriamente, ma orientativamente, di un Piazzolla francesista; comunque conosceva molto bene il francese, la lingua e anche la letteratura, e interveniva, naturalmente non sistematicamente. Del resto anche Carratoni avverte che in Piazzolla mancava questa capacità di fermarsi su un settore e andare in profondità per costruire qualcosa di profondo. Nell'insieme è interessante perché, oltre che critico, è anche uomo di pensiero. Lo dimostra il fatto stesso che affronta uno scontro, se non proprio un incontro, con Sartre e scrive saggi, interviene, difende le sue posizioni e lo accusa, e addirittura critica tutta la cultura italiana, addirittura fa una specie di disamina molto severa verso la cultura del nostro tempo.
Di argomenti per sostenere questo ce ne sono moltissimi perché la nostra storia, quella che va dalla fine della guerra ad oggi, è una storia ricca di vicende tumultuose, turbinose, contraddittorie. Indubbiamente il nostro è un Paese che ha durato fatica ma che ha dimostrato anche qualità in positivo nella ripresa. Pensate all'italia che addirittura arriva al boom dopo gli anni durissimi che seguono alla guerra, gli anni '45-'50-'55, che noi abbiamo vissuto. Ricordo, ero professore delle scuole medie superiori e avevamo degli stipendi veramente da fame; vinsi la cattedra nel '54 per le medie superiori ed ero l'unico professore che a Terni andava due volte a pranzo. Non si vedeva nessuno la sera, ero l'unico che andava al ristorante e mi dicevano: come mai? lo collaboravo, proprio in quegli anni, a Il Messaggero, e allora dicevano: tu sei ricco, sei un signore!
In realtà cominciai molto presto, a trenta-trentuno anni, a fianco di Bellonci che non mi vedeva, naturalmente, di buon occhio, diceva: "Questi giovani critici..." Prendevo trentamila lire ad articolo e come stipendio avrò avuto sulle trentacinque-quarantamila lire al massimo, quindi questo mi dava delle possibilità . Ma, per dire, era un momento drammatico, anche per gli studi, per poter approfondire, dedicarsi di più ad essi. C'erano molti amici che si dedicavano alle lezioni, alle ripetizioni e questo, naturalmente, li portava fuori dall'approfondimento. In quegli anni noi conobbi Piazzolla e capii subito che era un poeta di razza, anche perché a lui non interessava niente, lui faceva il professore, insegnava filosofia. L'ho incontrato molte volte. lo lo andavo a trovare quando abitava in Via Frattina e aveva una sua attività, perché lavorava a tutte le ore, anche fuori, lavorava sempre, preparava questi suoi poemetti. Quello che è stato letto in parte da Maestosi è uno dei più belli, dei più famosi, le Lettere de ha sposa demente, che anch'io lessi con grande sorpresa, era un opera nuova, in certo modo, direi che la cultura francese lievitava in maniera diversa. |
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Si è detto che l'italia non ha avuto una poesia dl simbolisti, in realtà è stata fatta una ricerca. Come mai da noi manca una poesia dove incida fortemente questo segno del simbolismo-decadentismo? Per diverse ragioni. anche perché, effettivamente, la nostra tradizione è molto forte e noi abbiamo alle spalle Carducci, D'Annunzio, che certo non erano buoni maestri. Pensate a come Thovez, nel primo novecento liquida Carducci, D'Annunzio e persino Pascoli e risale a Leopardi, perché Leopardi è il nostro grande centro! E Leopardi mi richiama ancora Piazzolla, perché io che cominciavo già da allora ad occuparmi di Leopardi, e me ne sono occupato poi per quarant'anni di seguito, posso dire che Piazzolla quando intervenne negli anni Sessanta su La Fiera Letteraria, scrisse un articolo su Leopardi che, nel suo genere, è un articolo intelligente, un articolo, direi, anche oggi utile, un articolo in cui non ci sono profondità di scavo nuovo, ma c'è l'intuizione del poeta.
Piazzolla capiva in quegli anni, quando già era partita la nuova corrente di studi leopardiani, questo nuovo corso, dove Leopardi si voleva presentare nella linea dell'interesse per il progresso. Leopardi progressista di Luporini, per intenderci, che certamente fu una corrente interessante, utile perché sommosse le acque del leopardismo tradizionale ma, naturalmente, il pericolo fu quello di agganciare Leopardi al carro di una poesia di impegno sociale che proprio non c'è, non esiste. Del resto, questo lo sapeva benissimo anche Luporini, il quale parlò di "progressivo" e non di "progressista".
Piazzolla scriveva negli anni '60 che Leopardi era un grande poeta e diceva: <<Quello che importa in lui è la globalità del fondo da cui sorge la sua poesia", il che è esatto. La sua poesia raccoglie, stringe ed esalta tutto l'uomo e tutto l'universo nell'uomo- È questo il punto, non si può isolare questo o quell'aspetto! E diceva giustamente: si cerca di impugnare la sua improbabile religiosità, il che non e accettabile. Da quarant'anni ho cercato di dimostrare che in Leopardi non è vero che è cancellata la parola "spirito", è cancellata la parola "divino", ècancellata la parola e il concetto di "sacro".
In Leopardi c'è questo concetto di sacralità della poesia cheper altre strade ritorna anche in Piazzolla. Egli ha scritto una pagina acutissima su questo aspetto del religioso, ma un religioso, badate bene, laico, non confessionale, che è la strada più giusta per chi si occupa di poesia. Altra cosa è poesia e altra cosa è la preghiera, indubbiamente ci sono nessi ma non è la stessa cosa. Tanto per farvi sentire anche un Piazzolla prosatore e per portarvi la sua intuizione dell'arte in rapporto al principio della trascendenza, ecco questo Piazzolla che si sofferma sulla sua poesia nella dimensione del religioso: "lì mio far poesia" - scriveva -"deriva essenzialmente dal pormi in rapporto con l'uomo, la natura e Dio che ritengo tre realtà trascendenti la mia persona. Più che nelle correnti artistiche credo nelle opere che hanno una loro compiutezza sia storica che metastorica. Tutto quello che di autentico un poeta riesce a rappresentare non lo attinge che dal "Sacro"; perciò l'arte che ha una maggiore durata storica ed un valore universale discende direttamente, o per vie misteriose, dalla trascendenza. Siamo nell'Essere e non possiamo evadere da questa totalità>>.
Ancora "totalità", come io già avevo detto per Leopardi; anche in Piazzolla è molto chiaro questo concetto della globalità, della totalità, dell'assolutezza dell'Essere cui l'occhio del poeta guarda, al di là della contingenza e punta ai valori che la trascendono. In questo senso direi che abbiamo in mano già una chiave per capire anche gli sviluppi della poesia di Piazzolla, che si articola in maniera molto varia. I suoi libri hanno questa ricchezza, direi caleidoscopica, di invenzione, di prospettive, di spunti, egli scrive addirittura un libro legandosi a grandi poeti che ha amato, a musicisti ecc. Oppure inventa e mette su dei poemi, fino ad arrivare a delle soluzioni e a delle proposte che sembrano quasi inimmaginabili per un poeta come lui, un libertario.
Ripenso a quella specie di carme o inno che scrive per un patibolo chiamato Piazza Loreto, una poesia che non conoscevo e che mi ha veramente colpito. Mi pare che abbia fatto bene Carratoni a propormela perché io ho potuto anche tenere conto di questo, perché lui libertario, aperto e quindi evidentemente portato contro tutto quello che era collegato agli aspetti autocratici, impositivi, coattivi del fascismo, ad un certo momento insorge contro questa brutalità della massa che improvvisamente si accende sui cadaveri di questi due personaggi che vengono appesi a Piazza Loreto e gli sembra una cosa assurda.
Piazzolla capiva benissimo che quella era la folla, la folla che diventa come un mostro cieco, ma dietro questo odio che porta all'orrore c'era anche questo risentimento che si era collegato, si era accumulato in anni e anni di prevaricazioni, di soprusi, ecc. Quindi anche lì tocca con mano la tragedia dell'uomo contemporaneo; di questo è capace Piazzolla che, d'altro canto aveva l'occhio anche ai fatti politici ed era vicino, anche come libertario, ai ra-dicali. Una poesia, per esempio, è dedicata a Pannella, che io conosco anche molto bene perché è cugino di mia moglie e quindi l'ho visto anche recentemente. Indubbiamente questo personaggio è interessante, anzi gliel'ho ricordato, gli ho detto: "Tu hai conosciuto di persona Marino Piazzolla?" Ha risposto: "Sì, ma me lo ricordo poco ..." Forse avrà avuto qualche rapporto tangenziale, rapido, veloce, ma anche questo è significativo perché c'è anche in Piazzolla un certo radicalismo che Io ~orta, a volte, ad essere così vivo, intenso, quando mette alla berlina questa assurdità del capo che vuole comandare, e ricordo Maestosi che ha letto benissimo quella poesia dove insiste, quasi martelland6 "L'ha voluto il capo ... l'ha voluto il capo", che non è altro che un modo per ironizzare quasi a livello sarcastico. Capo carismatico che fa tutto lui, che decide lui per tutti: questa è anche un'altra faccia di Piazzolla.
Avevo preparato una scaletta, come si fa in questi casi, per parlarvi un po' ordinatamente dei miei rapporti con Piazzolla, ma devo tenere conto del tempo e mi pare che mi sono già preso un setto-otto minuti, quindi non potrò abusarne.
Volevo parlarvi anche un po' dell'opera che fa onore a Piazzolla e che aiuta e aiuterà a conoscere meglio la sua opera. Non dobbiamo dimenticare che senza quest'opera, Omaggio a Marino Piazzolla, noi non avremmo i testi sotto mano per fare un discorso complessivo, generale su tutto il lavoro di Piazzolla. lì secondo volume offre proprio questo di positivo:
raccoglie tutto il discorso critico su Piazzolla, mentre nel primo volume si raccoglie tutto quello che è di Piazzolla, cioè le poesie, i testi critici, gli interventi sui poeti e sui pochi prosatori, (penso all'intervento su Marotta, su Moravia), dei narratori si è occupato meno, soprattutto penso agli interventi sui poeti.
Nel secondo volume c'è l'opera su Piazzolla ed è utile perché ci consente di tessere, di ricostruire questa storia della fortuna critica, cominciando proprio dalle prefazioni. Basta vedere i nominativi, come si sviluppa il discorso della critica, per accorgersi che in un primo tempo Piazzolla non è che sia notato dalla critica che conta, voglio dire dai critici che già avevano allora, negli anni Cinquanta, quando cominciò a lavorare in Italia, voce in capitolo, che erano già autorevoli, quelli se ne accorgono semmai più tardi. Invece ci sono altri interventi, per esempio Marotta che è un narratore e che invece sente subito l'autenticità e la vitalità di Piazzolla; oppure un poeta straniero, René Méjean, che diventa poi suo amico, lui lo tradurrà anche in italiano e Mélean tradurrà in francese Piazzolla. Più tardi, nell'ultima parte della sua vita, ci saranno altri interventi, per esempio quello di Sansone, tuttora vivente, che è il decano della nostra letteratura: Sansone ha ben novantacinque anni ed è veramente il decano in assoluto, ha l'età che avrebbe avuto Sapegno, che è stato il maestro di noi che abbiamo studiato a "La Sapienza" di Roma, oppure Bosco, anche lui, ma sono tutti scomparsi da parecchi anni, più recentemente Sapegno.
Sansone è ancora sulla breccia e, alcuni anni fa scrisse anche lui un suo studio sulla poesia di Piazzolla. Oppure altri poeti, purtroppo scomparsi, come Cimatti che era un poeta che anch'io conoscevo molto bene e ricordo che fu Enrico Falqui che lo mandò da me quando
ancora non era noto a nessuno. Fui tra i primi a parlare di Pietro Cimatti, un poeta che aveva, (lo conosce bene anche Carratoni perché ha pubblicato le sue poesie), questa grande verve, questa grande ricchezza, direi fosforescente, questa tensione che lo portava poi a delle posizioni oltranziste al massimo, tanto che quel suo libretto Completamente fuori, che lui mi mandò chiedendo un giudizio, è un libretto strano, ma anche coraggioso.
In quegli anni, erano gli anni Settanta, era un poeta che attaccava tutto e tutti, insomma una contestazione nella dimensione anche del costume e anche una ricerca di strade nuove, per questa poesia che deve scendere anche nell'infimo e non solo salire alle stelle. Del resto la sensibilità e l'apertura a tutta la realtà, l'abbiamo già detto prima, sono anche in Piazzolla; Piazzolla guarda verso le stelle, si tende all'oltre, al metatemporale, ma guarda anche in basso. Del resto noi sappiamo benissimo che in Dante la potenza di scatto verso l'infinito del cielo, l'iperuranio, non ci sarebbe se non ci fosse questa potenza di scavo dentro, fino al cuore del peccato e alla parte più torbida dell'uomo, al male, all'inferno. Anche Cimatti è tra quelli che hanno capito abbastanza presto l'importanza di Piazzolla e così anche altri; si potrebbe ricordare Barberi Squarotti, che interviene anche lui un po' tardi. Ci sono qui, poi, i frammenti di interventi di critici e anche questi hanno il loro peso: Govoni, che era un poeta a me, fra l'altro, carissimo, perché anch'io incominciai ad avvicinare Govoni proprio negli anni Cinquanta. lì mio primo libretto uscì nel 1952 con la prefazione-lettera di Corrado Govoni, un poeta che aveva questo grande candore ma questa profonda autenticità, poi segnata da una ferita non rimarginabile, la morte del figlio Aladino. lì suo libro Aladino è uno dei libri più belli legati alla tragedia della guerra e ai martiri delle Fosse Ardeati ne, dove egli finì. E poi ancora altri poeti come, per esempio, Betocchi, critici come Emilio Cecchi, che in qualche modo sono intervenuti e poi Francesco Flora e poeti come Caproni, e giudizi che sono stati estrapolati da lettere.
Questi sono come piccoli tasselli, di De Libero o di Petrucciani, che è un vecchio amico e un critico molto fine anche lui; ci sono tutti questi interventi di critici e poi, ancora, interventi che sono stati ripresi dalle riviste, di Marletta, di Cimatti, di Motta, c'è il saggio di Motta, uno dei primi, molto buono, su tutta la poesia di Piazzolla. E ancora studiosi del sud, come un altro amico e collega di università, Michele Dell'Aquila, che fa parte del centro che ha costituito questa Fondazione, e così altri studiosi che è inutile qui ricordare tutti e anche altri poeti, come per esempio Centore. Insomma molti elementi che poi vengono arricchiti dagli studi, dagli interventi; i giudizi sul pittore e disegnatore, perché c'è anche un Piazzolla pastellista che veramente è interessantissimo, ha delle cose molto belle.
Ho qualche quadro di Piazzolla a casa, che lui gentilmente volle donarmi (era molto generoso) l'anno in cui vinse il "Premio Tagliacozzo" (io ne ero il presidente), mi pare nel 1981. Era un premio che gli stava molto a cuore. lo non facevo mai forza sulla commissione ma quell'anno riuscimmo a trovare la strada per dimostrare (c'erano altri ottimi concorrenti) che Piazzolla meritava di vincere il premio e lo vinse lui. Ecco un'altra occasione che mi ha consentito di avere ancora rapporti, perché lui venne a Tagliacozzo e parlò. Poi feci l'antologia dei Poeti a Roma con Uffreduzzi ci entrò anche Piazzolla e fra questi c'era Tentori, Accrocca, i poeti del gruppo romano, Simongini, Margherita Guidacci, Biagia Marniti e così via. Un'antologia ristretta dove Piazzolla correva il rischio di essere estromesso perché nato nel 1910, per il fatto che i poeti dovevano essere più giovani. Fui io che dissi: "Facciamo un'eccezione, altrimenti da una parte è escluso perché è troppo in là con anni, da quell'altra fa parte di un'altra generazione, non lo troviamo mai e questo è ingiusto!". E così Piazzolla c'è tra I Poeti a Roma che, appunto io ho qui, sotto mano, e da cui ho letto quel passo e ho anche riportato una parte del giudizio che io espressi in uno studio, anche se poi nei volumi ci sono anche altri miei interventi.
Appunto volevo leggere, anche se, naturalmente non sono come Walter Maestosi, non sono un attore così bravo, sono solamente un lettore di poesia, volevo leggere almeno una poesia che mi piacque in particolare e che ho portato. Anche allora la scelsi, ma del resto anche le altre erano bellissime. È tratta da Esilio sull'Himalaya, che uscì nel Canzoniere, la collana di poesia diretta da Accrocca e Vivaldi, in cui io sono apparso con le mie prime cose di poesia, Speranza e destino del '55. L'anno precedente avevo pubblicato Fioraia bambina, con la prefazione di Di Pino, mentre la prefazione di Speranza e destino è di Govoni, come ho detto. In questa collana di poesia apparve anche Esilio sull'Himalaya di Piazzolla, da cui io ho estratto questa breve lirica che leggo per farvi sentire direttamente qualcosa del poeta.
(Lettura di Lo ricorderemo cantando).
Questi sono i momenti in cui la poesia di Piazzolla, tocca una sua rarefazione intensissima, una sua trasparenza vibrante, direi magnetica quasi; questo stare dentro il silenzio, questo legarsi all'amore, alla morte, sono due temi che ricorrono in tutta la sua poesia. Credo che, dopo questo mio intervento, ascolteremo ancora da Walter Maestosi la lettura di alcune poesie dell'ultimo periodo, che sono poesie bellissime tra cui quelle scritte per la compagna morta, e poi altre dalle raccolte pubblicate da Carratoni, che ha il merito di avere favorito proprio in quegli anni questa possibilità di presentare la sua nuova poesia, dell'ultimo Periodo. Alcuni testi sono anche profondamente drammatici, quelli de Il pianeta nero, che noi abbiamo presentato; nell'omaggio, naturalmente, troverete tutta la sua poesia raccolta, ordinata e c'è la possibilità di ritrovarla tutta insieme. Questi due libri si completano a vicenda perché se i testi sono raccolti nell'antologia, nella seconda parte abbiamo tutta la parte critica che poi ha il vantaggio di offrire persino le telefonate, le autopresentazioni, le interviste, che sono molto utili.
Quando Marino stava per pubblicare con un editore, Cardarelli gli disse: "Beh, andiamo, oggi devi incontrarti"- mi pare- "con Alberto Mondadori e dobbiamo parlare, così vorrei anche fargli la proposta...". Perché, in un certo modo, Piazzolla poteva starci benissimo ne Lo specchio" no? Invece non è entrato ne Lo specchio e non ha avuto possibilità di entrare presso altre case editrici di grande rilievo. Spesso ha dovuto accontentarsi di piccole case editrici, a volte era la sua stessa casa editrice, se la inventava lui, magari era un'autoedizione, come succede a volte a dei poeti. Succede soprattutto quando si inizia, poi, ad un certo momento, non dovrebbe succedere più, invece a lui succedeva fino agli ultimi tempi o quasi.
Quindi questo editore è andato lì, si sono incontrati, non so se hanno pranzato insieme e poi, alla fine, quando era arrivato ormai il momento di parlare di Piazzolla, Cardarelli gli ha detto: "Ma allora? Non gli parla del libro?" E rispose: "Mah, sarà per un'altra volta". Ma "l'altra volta" non venne più; questo Piazzolla lo considerò un tradimento e da allora i loro rapporti si sono guastati. La stessa cosa è successa per altri rapporti, non so, per esempio nei confronti di Ungaretti: lui aveva riferito, mi pare, di Gide, l'aveva presentato come un bravo flautista e naturalmente per Ungaretti era un po' grossa. Anche nei confronti di Montale. Certo c'è da dire chi che ha studiato bene, chi conosce storicamente questi poeti, sa che la ragione non sta dalla parte di Piazzolla, questi sono fatti che, semmai, ci riportano all'umore. Per esempio nei confronti di Montale trova il modo di limitarlo, mi pare anche dopo il Nobel, e addirittura tocca il suo pessimismo che gli pare un pessimismo quasi calc6lato, coltivato ecc.
Montale è un grande poeta, Ungaretti, anche lui, è un grande poeta, naturalmente non sempre della stessa statura, ma in complesso possiamo dire che è un grande poeta. A parte che altri poeti non sono agganciati nell'interesse di Piazzolla e si capisce anche perché, oppure è un po' per caso. Mi sembra un po' strano che non ritorni mai l'attenzione su Clemente Rebora, questo è uno dei pochi che ho notato. Ma per altri no, anche per Vigolo, non mi pare, ma questi che sono i massimi, a volte vengono trattati da Piazzolla con quella violenza di dissenso che non si può spiegare che per quelle ragioni che dicevo, per fatti di polemica anche personale . Questo non significa che non avesse scritto anche dei buoni articoli, ma bisogna risalire a quelli precedenti.
La storia di Piazzolla critico va vista in questo modo: in un primo tempo Piazzolla fa degli interventi che sono onestamente critici e si occupa di poeti contemporanei come Cardarelli, Ungaretti; poi invece, per questi rapporti personali la situazione cambia e non coltiva più la critica. Si dedica completamente alla parte di invenzione, questo spiega anche i contrasti e ci porta dentro il discorso su una personalità assai combattuta, assai complessa. Piazzolla non è uno scrittore semplice e dovrebbe essere studiato anche il suo linguaggio. Noi abbiamo ascoltato qui un poeta di una estrema limpidezza, che fa pensare a quella limpidezza che è venuta fuori dalla decantazione dei poeti dell'ermetismo, ma di certo ermetismo, perché Piazzolla non ha niente da spartire con i manieristi, con la criptografia. Perché come lui ha scritto più volte, la poesia non è che si debba proporre di essere capita, la poesia non deve essere né facile né chiara di per sé, ma certamente non può astrarsi da un margine di comunicazione che è dentro la sua stessa espressività. Purtroppo in molti casi noi verifichiamo che il poeta troppo abile finisce per essere prigioniero della sua stessa bravura. lo, del resto, credo che il maggiore Ungaretti non sia da ricercarsi nelle sue cose più elaborate sottilmente nel terzo tempo, direi che dopo il grande periodo degli inizi, dopo un grande libro quale è Il dolore, abbiamo dei momenti in cui Ungaretti si dimostra un finissimo artista. lo rimanevo un po' sorpreso dai colleghi quando negli anni Cinquanta ci preparavamo alla libera docenza, che lavoravano tutti nella direzione di quell'Ungaretti che dicevo prima, più criptografico, a cominciare da Bigongiari, che è un eccellente critico e anche un poeta importante del '900, ma che risentiva un po' del clima dell'ermetismo fiorentino nel quale si era maturato.
A Roma, invece, successe dagli anni '50 in poi maturò una poesia diversa. Negli anni '50-'60 ci fu quella scuola romana che può essere legata al Canzoniere di Accrocca e Vivaldi e che in qualche modo ha agganciato anche l'esperienza lirica di Marino Piazzolla. Ma adesso vedo che non è il caso che io mi trattenga analiticamente su queste ultime opere e piuttosto vorrei concludere, anche perché dovremo ascoltare anche l'intervento di Carratoni, dopo una nuova lettura, un nuovo pacchetto di testi che ascolteremo con grande piacere da Walter Maestosi e che faranno vivere nel modo migliore questo poeta a noi caro, un poeta che non deve essere dimenticato. lo mi auguro che questo pomeriggio dedicato al caro amico Marino Piazzolla sia utile, in qualche modo, anche per i giovani. Per fortuna abbiamo dei giovanissimi studiosi, come Antonella, che si accingono a studiare in profondità Piazzolla e mi auguro che anche in altre università accada questo. E anche al nord bisognerebbe vedere di agganciare le università, quella di Trieste, di Padova ecc. perché questo poeta possa essere meglio conosciuto e meglio apprezzato e in quanto credo che sia un poeta che lo meriti veramente.
Noi lo ricordiamo a Roma perché Roma è stata, per così dire, la sua città, quella dove ha lavorato più a lungo. Egli si è come naturalizzato qui a Roma, ma, effettivamente, come è già stato detto, è un poeta di respiro europeo, internazionale, e quindi quando venne a Roma aveva già, e questo è importante, un'educazione interna che aveva assunto a Parigi dove aveva fatto anche studi all'università, si era laureato, specializzato, e tutto questo aveva contribuito a portarlo fuori dall'impasse della nostra tradizione più stanca. Un fatto singolare, che può ricordare un fenomeno contrario, è quello di Ungaretti che va direttamente dall'Egitto a Parigi, saltando I 'Italia, e quindi entra in un clima di tensioni e non è condizionato dalla letteratura tardo-ottocentesca. Da noi abbiamo questo fenomeno singolare che nel primo '900, salvo i poeti che poi esplodono ne La Voce (si ricordano Campana, Onofri, Cardarelli, tutti i maggiori) Ungaretti e gli altri sono ancora legati a questa tradizione che è un po’ mortificante, di conservazione, perché manca quella spinta, manca questo innesto del seme del simbolismo-decadentismo che in Italia ha funzionato poco, pochissimo.
C'è una corrente espressionistica ma anche questa non si aggancia molto a quello che succede, per esempio, in Germania, quindi l'espressionismo che si verifica in Italia, per esempio in Rebora (ci sono di Rebora delle poesie bellissime di segno espressionista ),è un espressionismo che nasce dall'interno della sua carica straordinaria di dolore, di dolore per la guerra e quindi viene fuori questo stile direi quasi autoctono, non collegabile alle correnti esterne.
Piazzolla ha risentito delle correnti d'oltralpe ma ad un certo punto e le sue invenzioni ci conducono soprattutto dentro questo istinto che lo portava all'invenzione della poesia e che, dobbiamo dire, ci fa riconoscere in lui un poeta di razza e noi in questo modo vogliamo, oggi, ricordarlo augurandoci che la sua presenza acquisti via via maggior rilievo nelle storie della nostra letteratura.