La lunga vita di studi e riconoscimenti

da La Gazzetta del Mezzogiorno, 16 Ottobre 2005

Nella foto Michele Dell'Aquila

Nella foto, Michele Dell'Aquila

E' morto ieri Michele Dell’Aquila, professore emerito della Università di Bari, già ordinario di Letteratura italiana nella Facoltà di Magistero, della quale è stato preside per dodici anni, dal 1983 al 1995. Nonché prestigioso collaboratore e critico militante della «Gazzetta». I funerali si svolgeranno lunedì mattina presso la cappella dell’Ateneo di Bari (ore 11).
Dell’Aquila era nato a Castelluccio Valmaggiore (Fg) il 26 marzo del 1926. Fondatore e primo direttore del Dipartimento di Linguistica Letteratura e Filologia moderna della Università di È Bari, presidente dell’Accademia Pugliese delle Scienze, condirettore delle riviste «Italianistica» e «Rivista di Letteratura Italiana», direttore della rivista «La nuova Ricerca», il critico letterario ha conseguito numerosi premi letterari e la medaglia d’oro del Presidente della Repubblica per i Benemeriti della scuola della cultura e dell’arte, il Sigillo d’oro della Universtità degli studi di Bari. Le sue ricerche sono stati orientate nello studio di tematiche sette-novecentesche: in particolare il romanticismo italiano, Manzoni, Di Breme, Foscolo, Leopardi, la Scapigliatura, la scrittura poetica e narrativa del ’900, Dante, gli svolgimenti della questione della lingua, i rapporti tra letteratura delle regioni storiche, soprattutto meridionali, e la letteratura nazionale. Ha pubblicato, tra l’altro, tre volumi sulla ricerca linguistica di Manzoni, quattro raccolte di saggi leopardiani, due volumi di saggistica sette-novecentesca, due d’interesse meridionale e pugliese, due volumi di letture dantesche, saggi su De Sanctis, Giannone, Paolo Beni, Scotellaro, Sinisgalli, Dessì, Saba, Alvaro,Tozzi, sulla cultura in Puglia e in Bari tra Sette e Novecento.

Addio a Dell'Aquila
La letteratura della puglia nel cuore

di Raffaele Nigro

da La Gazzetta del Mezzogiorno, 16 Ottobre 2005

La gratitudine a Michele Dell’Aquila per tutto quello che ci ha dato come maestro di critica credo gliela tributassimo già da molti anni, quando ne seguivamo gli insegnamenti e quando per primo decideva di occuparsi della letteratura pugliese, per innestarla nel fiume di quella nazionale. Fu uno dei primi ad interessarsi infatti di Marino Piazzolla, di Nino Casiglio, di Pasquale Soccio e Cristanziano Serricchio. Uno dei primi ad organizzare convegni in Capitanata, prima che nascesse anche l’idea dell’università di Foggia.

Nella foto Michele Dell'Aquila

Nella foto, Michele Dell'Aquila

Questo impegno civile è nato credo al tempo in cui Michele Dell’Aquila fu chiamato da Mario Sansone a far parte di quella scuola di critica letteraria che si fonda sul legame tra scrittura e questioni sociali. Dell’Aquila ne ereditò la passione per la militanza. Che significa analisi della scrittura creativa nel momento in cui questa si viene formando, allorché interagisce con altre forme d’arte, lotta con la tradizione e cerca nuove strade. La critica non poteva fermarsi solo agli studi delle biografie chiuse, doveva osare, intervenire sul presente. Scandagliare ciò che era già storicizzato ma operare il rischio della scelta e soprattutto partecipare al dibattito sul presente, forti di un metodo critico fondato sulla conoscenza degli antichi, per non essere assenti sulle linee politiche e culturali del momento, partecipare al dibattito sul rapporto tra intellettuali e potere, tra creatività, economia e politica. Sporcarsi col quotidiano e con i quotidiani, quando ancora non erano dilagate le lauree in scienza della comunicazione. Rinnovare la figura dell’intellettuale accademico e provare a offrire indicazioni di percorso sulla nuova narrativa, sulla poesia in gestazione. Insomma rischiare e comportarsi da apripista.
Michele Dell’Aquila si sottopose a questa forma di operatività già dagli anni Settanta. Dalle antologie di Poesia e letteratura per i licei e gli istituti magistrali e dalla curatela di Alfieri, Manzoni, Leopardi. Aveva interpretato l’Orlando Furioso e la Gerusalemme Liberata per un pubblico giovane e si esercitava nell’ arte della divulgazione. In un certo senso era una prova generale per quell’attività che avrebbe esercitato sulla «Gazzetta del Mezzogiorno» per anni.
Furono quelli gli anni in cui Dell’Aquila scopriva la propria vocazione, l’Ottocento letterario: La poesia di Camerana (Bari, 1968); Critica e letteratura in tre hegeliani di Napoli: S.Gatti, S. Cusani, G. B. Aiello ( Bari, 1969); L’esperienza lirica della Scapigliatura (Bari, 1972); i tre saggi su Leopardi (Bari, 1978). Poi la folgorazione, nel sodalizio con Sansone, la chiamata all’Università di Bari. Sulla linea del maestro scopre la letteratura regionale ed ecco un affondo sul corregionale di Ischitella nella Difficile vita col Principe di Pietro Giannone (Milano, 1978), sul quale tornerà più tardi col volume Giannone, De Sanctis, Scotellaro: ideologia e passione in tre scrittori del Sud (Napoli, 1981).
Ricordo gli anni Ottanta, quando Dell’Aquila cominciava ad invitare scrittori e poeti alle sue lezioni, l’amicizia con Vittore Fiore, la lettura di Tommaso Fiore e di Biagia Marniti, la rilettura di Comi insieme a Michele Tondo, i convegni su Sinisgalli e Bodini. I suoi malumori di fronte a uno Scotellaro ridotto a santino dalle urgenze politiche e la necessità di leggere nel poeta di Tricarico elementi di decadentismo e di inquietudine, la sua fuga da una icona neorealista. Interpretazioni che gettarono nuova luce su un poeta ormai ridotto a uso e consumo di questa o di quella compagine politica.
Intanto Dell’Aquila andava costruendo la sua scuola, insieme a Ruggero Stefanelli, a Gigliola De Donato, che con lui suggeriva la necessità di guardare alla scrittura del Sud, innamorata com’era di Carlo Levi. Una scuola parallela a quella di una ben più agguerrita formazione presente nella Facoltà di Lettere. Una scuola in controtendenza con l’impostazione cattolica della Facoltà di Magistero e più aperta al laicismo. Non era facile in quegli anni. Una scuola che andava di pari passo con la grande ala dei sansoniani di Lettere e di Lingue, Francesco Tateo, Arcangelo Leone De Castris,Vitilio Masiello.
Era quella degli anni Ottanta anche la stagione nella quale Dell’Aquila scopriva il mezzo radiofonico e divulgava per la Rai-Puglia Fatti e figure di storia pugliese tra Sette e Ottocento (pubblicati più tardi presso Congedo di Galatina) e poi quel Parnaso di Puglia nel ’900 (da Adda, 1983) che, sebbene con una sorta di salvagente collocato proprio nel titolo, quasi a mettere le mani avanti con un pizzico di ironia, inaugurava un nuovo corso e apriva finalmente gli studi accademici all’universo misconosciuto della letteratura regionale. Era una forma nuova di meridionalismo. Così la scuola di Bari si legava a quella salentina, che per una maggiore aderenza al sentimento dell’identità culturale ha sempre avvertito più forte il richiamo alla difesa dei propri valori letterari, se è vero che Marti e Valli hanno creato e sostenuto le edizioni della Biblioteca Salentina di Cultura, se Bonea e Tondo si sono occupati di Comi, Bodini e Corvaglia.
Dell’Aquila ha rilanciato il discorso sull’Illuminismo garganico e su autori come Cassieri e Palumbo, sugli italo-americani e sui dialettali, da Tusiani a Borazio, una ricostruzione del Novecento pugliese continuata nella Humilemque Italiam: studi pugliesi e lucani di cultura letteraria tra Sette e Novecento (Roma, 1985). È stato sicuramente il più sansoniano tra gli allievi di Sansone: nel momento in cui ha accettato di imbrigarsi in questioni che guardavano il presente, la politica culturale, la vita delle nostre regioni. Come lo è stato quando ha accettato di presentare in catalogo pittori e scultori, da Di Pillo a Spizzico, da Damiani a Grassi, mostrando in questo anche una vena creativa, quel tanto che può favorire la critica d’arte, commistione di sensibilità, di intuizione. O quando ha accettato di far parte di giurie di premi letterari, dal «Premio Adelfia» al «Penne », al «Dessì» e al «Premio Bari », spiegando che gli studi, la strada e la vita sono tutt’uno, come è un tutt’uno quel miracolo quotidiano di creatività e di riflessione che chiamiamo scrittura. Il luogo dei segni, dei simboli e dei sentimenti per i quali avverto una profonda gratitudine e un più grande affetto per quest’uomo che ha segnato la giovinezza di molti di noi.

Raffaele Nigro